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Maratona di Roma – 20 marzo 2011

È difficile preparare una maratona, allenarsi coscienziosamente, trovare la voglia dopo una pesante giornata di lavoro, di mettersi le scarpe, coprirsi bene; cappuccio o fascetta in pile, guanti giubbino antivento, partire nel buio della sera ormai inoltrata e percorrere più e più volte lo stesso giro, passando ripetutamente davanti alla macchina parcheggiata lì che ti aspetta e ad ogni giro ti invita a salire per tornare a casa.
Tu imperterrito rifiuti cordialmente l'invito e continui a correre avanti e indietro, con il naso che ti cola e il freddo che ti blocca la mandibola, quasi da fare fatica ad articolare le parole. Spesso sei da solo, perchè coloro che di solito incontri, hanno deciso che forse era meglio restare a casa, o forse, visto che magari è tardi, hanno già finito il loro allenamento serale.
Questo fa parte del rituale che permette di cercare di allenare il tuo fisico a sopportare sollecitazioni che per molti non sarebbero neanche considerabili. Ma non basta, tutto questo non basta. Ci vuole ben altro per affrontare una maratona. Ci vuole tanta serenità, tanta gioia di vivere, che non sempre ti accompagnano durante la vita. Non basta curare la preparazione atletica nei minimi particolari, se poi ti manca la voglia di prepararti qualcosa di buono da mangiare, ti convinci di non avere fame e di poter saltare qualche pasto.
Certamente ci vuole una certa dose di incoscienza, ma sempre entro certi limiti. La preparazione fisica va sempre di pari passo con una condizione psicologica bilanciata. Sappiamo che quando il corpo da qualche segnale di debolezza, interviene in soccorso la “mente” che ci permette di superare crisi e momenti particolari.
In questo periodo la mia mente è troppo impegnata a combattere con fantasmi dovuti alla crisi che si può incontrare scoprendo, che dopo dodici anni e una figlia stupenda, la persona che ha condiviso con me tutto, non mi ama più. Sentirmi pugnalato alle spalle, e avvertire ancora oggi, dopo un anno e mezzo il sangue che fluisce dalla ferita. Non sapere se smetterà mai di sanguinare, e intanto adattarmi alle condizioni che la vita in questo momento mi impone. Impegnare le mie energie per convincermi che anche io non la amo più, e non avere neanche la certezza di riuscirci.
Sento di essere me stesso soltanto quando sono in compagnia della nostra bimba, che per fortuna posso vedere quando voglio; lei rimane e rimarrà sempre la cosa più importante per noi, e per quanto ne abbia sofferto e ne stia soffrendo ancora, il nostro impegno è di fare tutto il possibile per essere dei buoni genitori e di farla sentire serena e starle vicino. Non siamo mai stati uno contro l'altra, e tanto meno lo siamo adesso.
La corsa diventa così, più che mai, una forma di evasione; dalla quotidianità, dal lavoro, da tutto quello che finisco per sopportare sempre meno. Mi alleno; fartlek, lungo, ripetute, progressivi,... Ma la mente non si allena. Correre, correre, correre, fare gare, e mentre corro guardo tra il pubblico e cerco le loro facce i loro sorrisi, sento i loro incitamenti; ma loro non ci sono, e pensare che prima c'erano sempre. Così mi trovo a correre da solo, contro tutto, contro tutti, contro me stesso; e per fortuna continuo a correre.
Se sono ancora qui a scrivere e a correre lo devo soprattutto alla nostra bimba Olga, e ad un numero molto esiguo di parenti e amici che mi hanno fatto sentire la loro presenza. E che continuano a farlo. Grazie. Nonostante i miei tempi non migliorino, continuo, perchè sento che ora non devo cercare di correre per abbattere “muri”, ma per superare il senso di solitudine, per cercare alleati, colleghi, e sarà forse anche per questo che mi sono ritrovato a correre la maratona con più iscritti in Italia.
Per fortuna il “popolo” dei runners è, secondo me, speciale, eterogeneo. Ci si possono incontrare le persone più disparate, di estrazioni sociali diverse, provenienti da ogni parte d'Italia e del mondo, ma con un'unica passione comune, che in quel momento ci fa sentire “più uguali” degli altri. Così finisce che in metropolitana mentre mi stavo recando a ritirare il pettorale mi ritrovo a parlare con un runner americano; e partendo da quale fosse la fermata migliore dove scendere abbiamo viaggiato all'interno delle nostre vite da maratoneti e non solo. Ho scoperto anche che ha conosciuto un ultramaratoneta americano che si chiama Dean Karnazes, del quale ho letto un libro che si intitola “Ultra marathon man – Confessioni di un corridore estremo” che mi sento di consigliare. Lezioni di corsa, ma soprattutto di vita. Mi ha inoltre consigliato di andare a correre la maratona di Boston. Chissà... Comunque ci siamo salutati con un “Good luck!”. Forse un giorno ci incontreremo di nuovo per le strade del mondo.
In ogni caso, domenica mattina ho cercato di farmi largo nella calca di persone con lo zainetto azzurro e blu, dapprima nella metropolitana, poi lungo il percorso a piedi per raggiungere la consegna borse per poter arrivare in orario all'appuntamento delle 8:30 all'ingresso C, ma sono arrivato verso i 35, ho atteso alcuni minuti, ma non ho visto nessun'altra canottiera rossa per la foto di rito. Ho immaginato che anche gli altri si fossero trovati in difficoltà, così ho raggiunto la mia postazione in partenza.
L'attesa non è stata neanche poi troppo lunga. Mi sembrava di averci impiegato di più a percorrere il primo chilometro (5' 50”), dopo il quale avevo già messo un po' da parte le mie ambizioni di chiudere al di sotto delle tre ore e mezza. Questo può dare un'idea della mia fragilità psicologica di questo periodo. Mi sembrava di sentire la voce di Franco Bragagna su Rai uno che diceva: “...con questa media abbiamo una proiezione finale di quattro ore scarse...”. E di lì in avanti è stato tutto un destreggiarsi tra una selva di gambe, piedi, scarpe, sanpietrini, marciapiedi, spinte, sgambetti, per almeno quattro chilometri. Cercavo di stare concentrato su passo, ritmo, cardio (a parte quando ogni tanto impazziva e di colpo mi attribuiva 240 battiti al minuto!), fino a quando mi sono assestato su un ritmo discreto, appena sotto i cinque a mille. Verso il decimo chilometro, ho iniziato ad avvertire un fastidio all'altezza delle ultime costole. Non saprei neanche io se definirlo dolore, perchè tale non mi sembrava, ma comunque mi ha imposto di rallentare. La cura del calo di ritmo è stata efficace, ma qualche chilometro prima della mezza il fastidio di prima, si è trasformato in dolore, ma si è spostato più in basso e verso destra. Lì per lì ho pensato che fosse la maledizione del passaggio in Vaticano (visto che non credo molto in ciò che viene predicato da quelle parti!), sta di fatto che ho dovuto inserire alcuni tratti al passo, per massaggiarmi la parte interessata.
Da quando ho realizzato il mio personal best alla maratona di Torino del 2009, mi viene spontaneo di fare dei paragoni; così cerco di ricordarmi come mi sentivo a Torino a quel punto. Di sicuro non come oggi qui a Roma! Ma la sfida continua, anche se più avanti scoprirò che mi stavo avventurando nel tratto più difficile sia per le mie condizioni, sia per il percorso ricco di saliscendi.
Procedo alternando tratti di corsa a tratti al passo, come suggerisce Jeff Galloway in una sua metodologia di allenamento. Ormai sto già rientrando verso il centro quando sento alle spalle una voce che dice: “E vai Happy Runner!”. Mi volto e scorgo a fianco a me una “canottiera rossa”. É Carlo, del quale ancora ignoro il nome, che voglio ringraziare ancora per il sostegno che mi ha dato nei chilometri che abbiamo corso insieme. Devo scusarmi con lui se l'ho fatto camminare per un tratto. Mi sarebbe piaciuto riuscire a tenere il suo ritmo fino al traguardo e tagliarlo insieme a lui, ma non ero proprio in condizione di farlo. L'ho visto lentamente sparire, e sono contento per lui. Spero di rivederlo in una gara futura. L'ultimo tratto non è stato di mio gradimento; forse anche perchè quando le energie vengono meno, si vedono le cose in maniera negativa. La cosa che non mi è piaciuta sono stati i passaggi di Piazza Navona, Piazza di Spagna, Fontana di Trevi e zone limitrofe. Soprattutto le stradine strette piene di maratoneti da una parte che arrancano barcollando, ignorati da turisti senza scrupoli che cercano di superare le resistenze delle forze dell'ordine che non riescono a contenerli e si buttano a capofitto attraverso il fiume di corridori spingendo passeggini e trascinando per mano bambini che rischiano di essere travolti. Immaginate tutto questo guardato con la vista annebbiata dalla stanchezza e da quel briciolo di delusione per non essere riusciti a tenere fede ai programmi. Cercando di mettere un piede davanti all'altro. Un ringraziamento particolare va ai vigili che, seppure in numero limitato si sono prodigati per mantenere l'ordine.
Ma l'orgoglio è l'ultimo a morire, così, memore del suggerimento di tenersi qualcosa per gli ultimi due chilometri, letto nel commento di Paolo Talenti, ho aumentato le dosi al passo, per poter fare finta di correre l'ultimo tratto. E così è stato, anche se penso che non fosse correre quello che ho fatto nell'ultimo chilometro! Stramaledicevo la passeggiata turistica del sabato mattina e lottavo per cercare il passo migliore per non cadere nella trappola dei crampi.
Ho tagliato il traguardo un po' rammaricato, pensando di aver perso un'occasione, ma più passano i giorni e più sono felice di aver partecipato ad una maratona che mi è piaciuta, e di non aver perso nessuna occasione, ma di averne sfruttato parecchie.
Correndo mi dicevo che per un paio di anni avrei rinunciato alle maratone, per disintossicarmi un po', ma una volta tagliato il traguardo mi veniva di pensare a quando potevo organizzare la prossima; magari Milano 2012. Mentre mi rilassavo in Via dei Fori Imperiali e stavo parlando al telefono con la mia bimba che mi chiedeva su quale gradino del podio ero dovuto salire è passato Carlo e ci siamo salutati al volo. Nelle mie pessime condizioni ho pure aiutato due runners che si erano seduti per terra e non riuscivano più a rialzarsi in piedi.
Rientrando verso l'albergo stavo già pensando alla cena per festeggiare che avevo prenotato al ristorante “La Campana” (vedi sezione “Eziogastronomia”): carciofo alla giudia, rigatoni con coda alla vaccinara, braciole di abbacchio a scottadito, pera cotta con prugne al vino rosso, il tutto innaffiato da un mezzo litro di vino rosso. Correre sarà anche bello, ma una cena così è il giusto premio per le fatiche della mattinata.
Complimenti a tutti gli Happy Runner, che hanno finito la Maratona di Roma e arrivederci alla prossima.  Buone corse a tutti.
Pier.



23/03/2011


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