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La mia partecipazione al 70.3 di Pescara è stata un ritorno in una città che l’anno scorso mi aveva regalato una bellissima esperienza, oltre che una competizione molto impegnativa che aveva messo a dura prova la mia determinazione.

 

Quest’anno però le premesse erano migliori: migliore preparazione, maggiore esperienza nel triathlon (sport cui mi ero avvicinato proprio l’anno scorso), una bicicletta più “competitiva” e una gran voglia di mettere a frutto le numerose ore di allenamenti e sacrifici dedicati alle 3 discipline. In questa occasione anche il viaggio (2 ore di macchina) è stato meno pesante poiché, avendo condiviso il tragitto con un compagno di squadra, è volato in un lampo.

 

Dopo una tappa veloce in albergo il primo pensiero è stato, come per le maratone, il ritiro del pettorale. E qua mi sono subito scontrato con alcune lacune organizzative che mi hanno costretto a più di un’ora di fila, piccoli dettagli in una gigantesca macchina organizzativa che mette in moto oltre 2000 atleti.

Lo step successivo è stato ovviamente la consegna della bicicletta nella zona cambio; dopo averla percorsa per tutta la sua lunghezza, ho trovato finalmente la collocazione per il mio destriero e tutte le “armi” che avrei usato il giorno successivo: casco, occhiali da sole, scarpe, gps e pettorale. Prima di abbandonare i nostri mezzi li abbiamo coperti con dei teli poiché era prevista la pioggia, scongiurata da tutti e che per fortuna ha fatto capolino solo nelle prime ore del mattino successivo.

 

Terminate le pratiche “burocratiche” ci siamo concessi un po’ di relax nella splendida spiaggia di Pescara...il riposo prima della battaglia. L’indomani la sveglia è suonata molto presto e dopo un’abbondante colazione ci siamo subito diretti alla partenza, imbracciando le nostre ingombranti mute, la “corazza” che ogni triatleta indossa quando la temperatura dell’acqua è proibitiva. Il tempo sembrava scorrere più lentamente e sul lungomare gli unici “turisti” a spasso eravamo noi, persone “normali” ma con una grandissima propensione alla fatica fisica e un gran desiderio di spostare l’asticella del limite un po’ più in alto. Lo speaker dettava i tempi, chiamava i gruppi, menzionava regole … ma noi sapevamo qual era il nostro posto e il nostro “dovere”.

 

Arrivata l’ora della partenza siamo entrati nell’area di “spunta” degli atleti. In attesa della sirena, l’adrenalina saliva e si dissimulava il tutto accennando un minimo di riscaldamento. Pochi secondi al via ed è iniziato il conto alla rovescia. Abbiamo infilato gli occhialini: sirena e si è scatenata la bolgia. Questo è forse uno dei momenti più emozionanti dell’intera gara. Il mio gruppo è partito per primo assieme ai professionisti, ai quali giustamente erano stati concessi una cinquantina di metri di vantaggio. La mia nuotata è stata regolare: conscio che il nuoto non è il mio sport prediletto ho cercato di non entrare subito in affanno.

 

La gara ci ha portato in mare aperto per oltre 850 metri, dopo è proseguita parallelamente alla spiaggia per poi rientrare compiendo un triangolo. Anche qua ci siamo scontrati con un’altra realtà poco piacevole: la distanza, che doveva essere di 1,9 km era diventata di oltre 2,4 km, forse qualcosa nel posizionamento delle boe segnaletiche non aveva funzionato, ma non importava. La prima delle 3 frazioni era passata … e quella per me più dura. Ho tolto la muta, infilato casco e occhiali, calzato le scarpe (non sono così esperto da calzarle sulla bici), preso il gps ed il pettorale ed in sella! Ci siamo diretti subito verso l’anello da percorrere 2 volte e per raggiungerlo hanno persino chiuso al traffico un tratto di superstrada. Le salite sono state impegnative e le discese veloci, il percorso perfettamente segnalato e “protetto”. I ristori efficienti e un clima non torrido hanno aiutato a sopportare meglio la fatica.

 

Percorsi i 2 giri al massimo delle mie possibilità ho ripreso la superstrada che mi ha riportato a Pescara: il contachilometri della bici ha indicato una media di 30,5 km/h , ne sono stato enormemente fiero e il morale è salito alle stelle. All’ingresso in zona cambio il cuore batteva forte. Stava per iniziare la frazione a me più congeniale: la corsa. Ho continuato a ripetermi mentalmente che per un maratoneta come me, con alle spalle 8 maratone in meno di 3 anni, 21 km sono un gioco da ragazzi. Non è proprio così perché avevo già quasi 4 ore di attività sportiva al massimo delle mie possibilità alle spalle, ma sono dettagli che alle gambe non ho detto e loro hanno iniziato a girare bene. Non sono partito forte, sono stato cauto per non bruciare subito tutte le energie. Da percorrere 3 giri e altrettante volte da “scalare” lo stesso bellissimo ponte del porto, un banale cavalcavia di 15 metri, ma che dopo una prova come un 70.3, può diventare una montagna. La corsa è proseguita senza intoppi, le gambe sembravano trovare energie nascoste e l’ultimo giro mi sono permesso addirittura di allungare il passo. L’ultimo rettilineo mi ha visto persino sprintare.

 

Ho tagliato il traguardo ed il pensiero è volato subito a coloro che ogni giorno mi supportano e sopportano, mia moglie e i miei tre figli (Laura, Sofia e Riccardo) senza il sostegno dei quali non potrei affrontare simili prove. Tempo finale: 5.33.40 e 296° assoluto.

 

Distrutto ma felice sono tornato a casa: anche questa prova è stata superata!

(Gianpaolo Giovagnoli)
 



26/06/2012


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